domenica 26 giugno 2022

The Battleship Island


Cari prigionieri di guerra, 


il film che vi presentiamo oggi è del 2017 per la regia di Ryoo Seung-wan, regista non nuovo alle nostre pagine, per averci regalato capolavori come Crying Fist e The Berlin File. A questo si aggiungono le sue innumerevoli sceneggiature per altre decine di titoli prestigiosi in cui ha collaborato alla sceneggiatura/adattamento. 


A questo giro, gli è tocata una bella responsabilità. Con un budget da 21 milioni di dollari, doveva dirigere alcuni dei più grandi attori del cinema contemporaneo, ma, soprattutto, doveva mettere il dito nella piaga su un argomento di grande attualità e che ancora oggi non si è completamente risolto. Ma andiamo con ordine. 

***ATTENZIONE***

Mi è partita la mano perchè l'argomento mi affascina, quindi se non avete voglia di leggere il riassunto della storia dell'isola, saltate ai prossimi asterischi. 

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L'isola di Ha, o più semplicemente Hashima (-shima è il suffisso con cui i giapponesi indicano le isole) è una piccola isola a 15 Km da Nagasaki. Solo in quel distretto se ne contano altre 504, per lo più disabitate. Il motivo per cui è diventata un sito di interesse nazionale, sta nel fatto che sotto di essa si celava un imponete giacimento di carbon fossile naturale.  


Dopo la scoperta del giacimento di carbone nel 1810, l'isola fu comprata in blocco dal gruppo Mitsubishi nel 1887. Della dimensione di appena 16 Ettari, la superficie è stata espansa fino a raddoppiarla con imponenti colate di calcestruzzo e muri di fortificazione per limitare i danni di eventuali terremoti, conseguenti tzunami e delle frequenti tempeste che si verificano in quella zona. 


Inizialmente vi è stato costruito un enorme palazzo di sette piani per accogliere i minatori e nel suo periodo di attività, che copre dal 1890 al 1974, sono state aggiunte strade, piazze, un bagno pubblico, una scuola, un ospedale, un centro di ritrovo, un cinema, una sala pachinko, giardini e negozi e tutto quello che serviva per poter accogliere una popolazione stimata intorno alle cinquemila persone, tra i lavoratori e le loro famiglie. 


Alla fine dei lavori, l'isola si guadagnò il soprannome di Gunkanjima (Battleship - nave da guerra) per aver assunto la forma allungata di una nave, tanto da meritarsi un bombardamento dell'aviazione americana. In particolare si diceva che somigliasse all'ammiraglia della flotta giapponese, la fregata Tosa, un bestione da quaranta tonnellate che tuttavia non fu mai terminata, in favore di nuovi e grandiosi progetti come la celeberrima Yamato e sua sorella Musashi, che pesavano quasi il doppio. 


Su Hashima si scavava forte. Chilometri sotto il livello del mare. Si stima che siano stati estratti oltre quindici milioni di tonnellate di carbone. Una vera manna per l'industria giapponese, che era nel pieno della sua più grande rivoluzione tecnologica. 


Negli anni Sessanta, tuttavia, l'interesse per il carbon fossile era passato in secondo piano in favore di una nuova forma di energia più adatta alle industrie moderne: il petrolio. La miniera perse lentamente la sua importanza, fino ad essere chiusa definitivamente. Il 20 aprile 1974, gli ultimi abitanti lasciarono l'isola e nessuno vi fece più ritorno per trent'anni. 


Nei primi Duemila, ci si è resi conto dell'importanza storica di un sito incontaminato e nonostante il divieto formale di attraccare sull'isola (data la presenza di pozzi, gallerie ed edifici fatiscenti), cominciarono a circolare filmati più o meno amatoriali di visitatori che la esploravano senza permesso. In particolare, il reporter svedese Thomas Nordanstad, registrò un filmato nel 2002 che è disponibile qui. Erano pochi mesi prima che il governo emettesse un'ordinanza restrittiva che prevedeva un mese di carcere e addirittura la deportazione per chi fosse sbarcato sull'isola. Il regista e la sua troupe furono traghettati e passarono la notte nel piano terra della scuola, in compagnia di un uomo che ha passato lì la sua infanzia. 


Nel 2009, dopo diversi sopralluoghi ed interventi di consolidamento, l'isola fu riaperta al pubblico. Per lo più una passeggiata di un centianio di metri, ma il successo fece ben sperare in un restauro parziale delle strutture che permettesse di visitarle. Si immaginarono giardini, negozi e ristoranti, un molo per l'attracco delle barche e addio al sito incontaminato. Quando alla fine... il colpo di genio. Proporre il sito all'Unesco. 


L'unico modo per poter finanziare il restauro dell'isola come se fosse un museo e al tempo stesso garantire che la memoria di fasti passati durasse per le future generazioni. Ed è a questo punto che i coreani si sono incazzati. Sì, perchè se è vero che Hashima è stata un'importante molla per lo sviluppo industriale del Giappone, è anche vero che durante la seconda guerra mondiale, è stata un inferno. 


I rapporti dei coreani con i vicini giapponesi sono sempre stati tesi. Da secoli i giapponesi facevano incursioni sulle coste coreane per depredare, uccidere e deportare le popolazioni pacifiche che ci abitavano. Per quasi un millennio, l'influenza cinese aveva fatto scudo ad una vera e propria invasione, poi verificatasi quando l'impero cinese aveva i suoi guai in casa. Già dal 1590, il giappone cercò a più riprese di allungare le mani sulla ricca penisola dei loro vicini, ma la conquista definitiva avvenne proprio nel 1910, quando la Corea fu annessa al Giappone a seguito di un trattato unilaterale che non era stato nemmeno sottoposto all'imperatore Sunjong, che fu deposto e costretto agli arresti domiciliari fino alla fine dei suoi giorni. L'occupazione giapponese in corea sarebbe andata avanti fino al 15 agosto 1945, quando l'imperatore del Giappone firmò la resa incondizionata dopo la fine della seconda guerra mondiale. 


Ma più che un'occupazione, era un'annessione. Il territorio coreano fu considerato a tutti gli effetti giapponese. Gli invasori presero possesso dei palazzi reali e li modificarono secondo i loro canoni. Assorbirono le grandiose capacità degli artigiani locali, specialmente nel campo delle stoffe e delle ceramiche, famose in tutto il mondo. Diedero il via a una massiccia "correzione" dei trattati storici e dei resoconti dettagliati dei libri degli imperatori passati, eliminando le parti che denunciavano i misfatti dei giapponesi contro l'impero coreano o semplicemente li mettevano in cattiva luce. La scuola fu riformata sul modello giapponese e la lingua coreana fu dichiarata illegale. Ogni movimento che inneggiava all'indipendenza, fu represso nel sangue.


Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la situazione per i coreani si inasprì. Erano considerati dei parassiti, sottoposti ad ogni forma di angheria, vessazione e tortura. I lavoratori giapponesi richiamati al fronte, avevano lasciato le fabbriche e le miniere vuote. Per ovviare al problema, i posti vacanti furono offerti ai coreani. Come se fosse un favore. Quello che ne seguì, fu una deportazione di massa e un'escalation di disumanità che nulla aveva da invidiare a quello che hanno fatto i tedeschi con i campi di concentramento. 


Al tempo, fare il minatore ad Hashima non era certo una passeggiata. Si scavava a mano, in un ambiente che raggiungeva temperature superiori ai 40 gradi centigradi, con l'umidità al 100%. I polmoni si riempivano di carbone e sale marino. L'asfissia era sempre dietro l'angolo. A questo si aggiungevano i frequenti crolli, allagamenti e fughe di gas. Avere del personale a fondo perduto, doveva essere un bel vantaggio! E infatti si stima che durante gli anni della seconda guerra mondiale, migliaia di lavoratori cinesi e coreani, abbiano perso la vita nel sottosuolo dell'isola. Nessuno si è preso la briga di contarli. Tanto erano solo prigionieri. 


A questo si aggiunge il traffico di donne e bambini a scopi sessuali, pratica già in voga prima della guerra, ma che durante il conflitto assunse livelli di organizzazione ed efficienza disumani. 


È comprensibile, quindi, che quando il governo coreano nel 2009 ha appreso della notizia di inserire un sito che nel periodo buio della Seconda Guerra Mondiale è stato a tutti gli effetti un campo di concentramento, parlandone come di un importante testimonianza della magnifica rivoluzione industriale giapponese del ventesimo secolo, si sono opposti con veemenza. In particolare per Hashima, ma su 22 siti presentati quell'anno, almeno 7 erano stati teatro di lavori forzati, morti sul lavoro e malnutrizione per migliaia di civili coreani e cinesi. 


Le proteste sottolineavano il fatto che riconoscere quei siti "violerebbe la dignità dei sopravvissuti ai lavori forzati, nonché lo spirito e i principi della Convenzione dell'UNESCO" e che "i siti del patrimonio dell'umanità dovrebbero essere di eccezionale valore universale ed essere accettabili da tutti i popoli di tutto il mondo"


La risposta del governo giapponese fu abbastanza piccata, sottolieando che in quei luoghi non si poteva parlare di lavori forzati, cavillando sul significato della parola "forzati" e facendo incazzare ancora di più le vittime. 


Al momento dell'uscita di questa pellicola, dietro promesse mantenute solo parzialmente dai giapponesi, la maggior parte dei siti sono stati inseriti nel patrimonio Unesco, ma la cosa non ha placato le proteste dei coreani, che hanno fatto quello che gli riesce meglio: un film. 


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FINE SPROLOQUIO

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Girato in meno di sei mesi, con un budget sufficiente per 5 film, questa pellicola riconferma le grandi doti di 

Hwang Jung-min che non sbaglia un colpo dai tempi di Shiri. Lui è un padre, un artista, un donnaiolo incallito, un eroe. Il personaggio non era per tutti, ma lui lo indossa come un guanto.

A fianco a lui, la piccola 

Kim Su-an che ricorderete per Hide and seek, Coin Locker girl, Memories of the sword, Train to Busan e The net. Carinissima, viziata, capace di farci stringere il cuore con le sue espressioni. Canta e balla benissimo, tra l'altro.

So Ji-sub, che ricorderete in Rough cut. Un cattivo dal cuore d'oro. Semplicemente adorabile!

Song Joong-ki, che ricorderete per A Frozen Flower, è un agente infiltrato del movimento per l'indipendenza coreana.

Lee Jung-hyun, che sinceramente ho visto solo nell'infame sequel di Train to Busan, ma qui dimostra di saper recitare alla grande se lavora con le persone giuste. Una donna che ha visto il peggio che l'umanità può offrire, ma che trova ancora la forza di sperare nel futuro. 


La trama è una sorta di rivalsa immaginaria del popolo coreano contro un vero e proprio genocidio. Un piano rocambolesco per sfuggire da una struttura-roccaforte in mezzo al mare. Un piano disperato, insomma. Poco credibile, poco storico, molto intriso di retorica nazionalista da due soldi. Ma è proprio dietro questa malcelata frustrazione, che posiamo capire quanta rabbia si sia accumulata dentro ogni coreano, la cui storia è sempre stata decisa a tavolino dai più forti, in attesa di un riscatto che ancora aggi non si vede all'orizzonte. Da coreani che diventano giapponesi di serie B, a coreani usati come scudo per separare i paesi comunisti da quelli capitalisti, non è che ci sia tutta questa rivalsa. E loro lo sanno. La sentono la rabbia per i loro fratelli che sono diventati nemici, ma verso i quali non riescono a provare odio. Non lo diranno mai, ma poi esce al cinema un film come questo e in una scena un po' dozzinale in cui con un plongè drammatico, una bandiera del Giappone viene tagliata in due, ecco che tutti si alzano in piedi e applaudono commossi. 


Con un sapiente uso di scenografie ispirate all'isola (naturalmente non si poteva girare in loco!) e momenti divertenti, è un film pieno di azione, suspanse, personaggi complessi. Ryoo seung-wan si riconferma un maestro del genere Action, con una grande disinvoltura nell'uso della camera e della violenza. Davvero non rimpiangerete i 132 minuti della sua durata. 


Un grazie a DeepWhite999 per averlo tradotto!


TRAMA: Lee Kang-ok (Kwang Jung-min) è un famoso musicista che lavora per gli alti ufficiali del governo giapponese in Corea. Furbo e dotato di grande carisma, riesce a condurre una vita decente per sè e la sua band, di cui fa parte anche la sua figlioletta So-hee (Kim su-an). Per aver fatto adirare un uomo molto potente, viene deportato nella miniera di Hascima. Inizierà per lui una dura lotta per la sopravvivenza e la riconquista della libertà. 

Disponibile: no

Sottotioli nel nostro fansub

Buona visione. 



lunedì 2 maggio 2022

Stop

 

Cari immobili, 

dopo lunga assenza ci presentiamo di nuovo come se niente fosse e vi proponiamo un film che ha il gusto amaro della sconfitta. Stiamo parlando di Stop, il film perduto di Kim Ki-duk

Una sconfitta perchè abbiamo aspettato per anni che uscisse una versione con un audio e un video di buona qualità, ma alla fine lo si trova dappertutto in queste condizioni: sottotitoli impressi in coreano (la lingua originale è il giapponese) e un orribile voice over russo. Siete avvisati, se volete continuare ad aspettare, magari nel 2070 faranno un cofanetto con tutti i 24 film per celebrare il cinquantenario della sua morte. Noi ce lo siamo visti così. Ne valeva la pena.

Il grande Kim è da sempre il regista cardine di questo blog e della nostra community. Recentemente scomparso in Lettonia a causa del Covid19, ci ha lasciato un totale di 24 film da regista che lui considerava la sua filmografia ufficiale (tanto da numerarli maniacalmente) e un'altra decina scritti da lui (in alcuni casi senza nemmeno farsi inserire nei credits) o prodotti. 

Stop in questa lista numerata si colloca quart'ultimo. Presentato nel 2015 al festival Karlovy Vary nella Repubblica Ceca, ha fatto storcere il naso a tutti i presenti e da lì non è più uscito. Non se n'è parlato più. Si sarà pentito? Gli attori (Natsuko Hori e Tsubasa Nakae) gli avranno fatto causa per danno alla carriera? Non lo sapremo mai. 

Quello che sappiamo è che se siamo qui oggi, è perchè in fondo noi siamo i suoi fan più sfegatati. Siamo le bimbe di Kim Ki-duk! Lo abbiamo amato dai primi fotogrammi sgranati di Crocodile, lo abbiamo seguito in quell'evoluzione dei cattivi che ci ha portato a personaggi mitici come i villain di Bad Guy o Ferro3, i personaggi femminili incredibilmente profondi in Samaritan Girl, Birdcage Inn e The Bow, lo abbiamo seguito nella sua parabola mistica iniziata con Spring, Summer, Fall Winter... and Spring e nella crisi spirituale che ha portato sugli schermi Arirang. 

In tutto questo, Stop ha la sua importanza perchè secondo me è il seme da cui sono nati The Net e Human Space, Time and Human. Una metafora nella metafora. Una storia accattivante, girata velocemente, senza badare alla forma, proprio come ai tempi di Amen o dell'ultimo Dissolve. Lo possiamo vedere fin dalle prime scene. Tizi che fanno tremare l'arredamento per simulare il terremoto. Mio cugino con trentamila lire...

Il punto è che la gente ha storto il naso a vedere questo film perchè era ed è esteticamente brutto. Volutamente. Girato in fretta e senza cura dei dettagli. Parla degli incidenti nucleari di Fukushima e Chernobyl senza cognizione di causa, con personaggi che si contraddicono, cambiano idea, brancolano nel buio delle loro opinioni cangianti. Proprio come siamo noi nel mondo reale. Ci fissiamo con cose inutili, prendiamo una posizione e non ci schiodiamo nemmeno quando è chiaro che abbiamo torto marcio. 

Non stiamo guardando un documentario sui pro e contro dell'energia nucleare. Stiamo guardando uno specchio in cui ci siamo noi, la nostra società, il nostro modo di porci davanti alle risorse, alla natura, al nostro desiderio inappagabile di abbuffarci di qualsiasi cosa ci faccia stare bene... fino a stare male. È già successo per Time: gli spettatori spesso si lamentavano del fatto che un chirurgo plastico non farebbe mai tutti quegli interventi estetici, invece che riconoscere un espediente narrativo per dire tutt'altro. Gente che fissa il dito mentre il saggio indica la luna.

Poi possiamo anche discutere dei risultati ottenuti al di là delle intenzioni. Su quanto sarebbe potuto essere più incisivo, più accattivante, più tutto, ma ricordiamoci che sarebbe stato mille volte più facile per un regista del calibro di Kim Ki-duk continuare a battere il filone d'oro dei suoi più famosi successi e fare film fotocopia e vivere felice fino alla fine dei suoi giorni. Invece ha scelto di mettere due idioti a segare un traliccio dell'alta tensione con un flessibile a batteria della Black&Deker. E niente gliene frega!

Grazie a DeepWhite999 per i sottotitoli. Seguiteci su Telegram!

TRAMA: Miki (Natsuko Hori) e Sabu (Tsubasa Nakae) sono una coppia giapponese che vive nei pressi della centrale nucleare di Fukushima. Nel momento dell'incidente nucleare Miki è incinta e dopo la loro fuga dalla città, si ritrovano a dover decidere su cosa fare del bambino che lei porta in grembo e che potrebbe essere stato esposto ad una dose di radiazioni sufficiente a trasformarlo in un mostro. Tra continue indecisioni e cambi di idea, subiranno le pressioni di misteriosi agenti governativi e prenderanno decisioni estreme. 



Buona visione.













sabato 20 novembre 2021

Memories of the Sword


Cari spadaccini volanti, 

il film di oggi è del 2015, per la regia di Park Heung-sik, sceneggiato a quattro mani con la scrittrice Choi Ah-reum. A dispetto di un cast stellare, è un film che si propone di omaggiare la produzione cinese sulle arti marziali che spopolava dal 2010 negli Stati Uniti. Infatti il budget da 10 milioni di Won è stato ben ripagato da un'imponente distribuzione americana che gli ha fatto fare bei soldini, ma ha buttato alle ortiche il talento dei protagonisti e una storia con molto più potenziale di quello che ritroviamo sullo schermo. 

Un tripudio di salti da 60 metri e combattimenti aerei ai limiti della ionosfera, da far impallidire Goku e Vegeta che si scontrano nel primo Dragon Ball. Una serie di esagerazioni ed abuso di grafica computerizzata da far passare in secondo piano una storia molto bella. 

Non poteva mancare il tema della vendetta che spazza via le vite di chi ci si trova coinvolto. La fotografia è una gioia per gli occhi, così la colonna sonora e i costumi. 

Un pasticcio con i nomi che sono cambiati nel salto temporale di 15 anni fra la storia delle tre spade e il presente con i suoi intrighi di corte. Sul-rang si fa chiamare Wol-so, Duk-gi si fa chiamare Yu-baek (anzi, Generale Yu-baek, altrimenti nemmeno si gira!), Hong-yi si fa chiamare Gam-cho, ma ha anche un altro nome. Solo a fare il riassunto mi è venuto il mal di testa!

I personaggi sono eccezionali:

Lee Byung-hun è Duk-gi e non ha bisogno di presentazioni. È bello come il sole e vedendogli interpretare un personaggio cattivo fino al midollo, produce un effetto devastante. Il suo carisma buca la pellicola come al solito.

Jeon Do-yeong (che personalmente ricordo sopratutto per la sua strepitosa interpretazione in Secret Sunshine di Lee Chang-dong) è Sul-rang, un personaggio che riesce ad essere sia dolce che passionale, forte e fragile, donna e guerriera (sì, in contrapposizione!), madre e nemica, moglie fedele e amante lussuriosa. Nella versione originale avrebbe dovuto travestirsi da uomo perchè sarebbe stato impensabile per l'epoca avere un guerriero donna, ma poi si dimenticano e il suo personaggio si salva dal ridicolo che non ha risparmiato la sua compagna di sventura, ovvero:

Kim Go-eun è Hong-yi. Dopo il successo di A Muse e Monster, nel 2015 lavora a 3 grandi film contemporaneamente: questo, Coinlocker girl e The Advocate. Cioè, questa debutta a 21 anni e a 24 fa la spola fra il set di un kolossal storico, un dramma e una commedia. Lei è bravissima, nonostante un viso non particolarmente espressivo. Parla arabo per nascondersi e si "traveste" da uomo con una mascherina che le copre la bocca. 

Lee Jun-ho è Yul, il campione di spade di corte, che vive nell'ombra del generale (tecnicamente due spanne sopra di lui con la spada) e dovrebbe essere il vero antagonista di Hong-yi prima della battaglia finale con Duk-gi. Invece appare e scompare. Crede al fatto che Hong-yi sia un uomo finchè non lo recupera ubriaco da un locale, lo porta a casa sua e (come farebbe ogni uomo) decide di strofinargli il petto con uno straccio imbevuto di acqua fredda mentre dorme. Sotto la tunica ci trova una fascia e allora capisce. Se avesse tolto la fascia non ci avrebbe trovato molto di cui insospettirsi, perchè la bella Go-eun è piatta come una tavola anche per gli scarni standard coreani. Ma vabbè.

Kim Tae-woo (lo ricordiamo come il feticcio di Hong Sang-soo) è Jon-bok. Perfetto per il suo ruolo di giuggiolone figlio viziato dell'imperatore, è un altro di quei personaggi buttati via in questo cast.

Lee Geung-young è solitamente un grande attore e rende il personaggio del maestro sia drammatico che divertente, ma si capisce bene che è schiacciato da troppi clichè che gravitano sul personaggio dell'anziano maestro di arti marziali. 


In definitiva è un film che vi farà divertire, appassionare, ma anche incazzare. Vale la pena vederlo e come sempre grazie di cuore a ela per averlo tradotto.


TRAMA: Durante l'era Goryeo, 3 grandi spadaccini organizzarono una rivolta popolare contro l'imperatore. Sul-rang, la spada saggia; Duk-gi, la spada impetuosa e Pung-chun, la spada misericordiosa. Catturato Jon-bok, il figlio dell'imperatore, hanno la vittoria in tasca. Ma due di loro tradiscono i rivoluzionari e mandano a monte la rivolta. Pung-chun viene ucciso insieme a sua moglie e sua figlia Hong-yi. Ma qualcuno salva la neonata gravemente ferita e la alleva insegnandole i segreti della spada perchè un giorno possa vendicare la morte di suo padre e della rivoluzione...


Distribuito in USA

Sottotitoli disponibili nel nostro fansub.

Buona visione.




martedì 12 ottobre 2021

Take off 2

 

Cari sportivi, 

il film che vi presentiamo oggi è del 2016 per la regia di Kim Jong-hyun, per la prima volta su queste pagine. Non un grande regista e non un grande film, ma (lo avrete già capito) il sequel di un film che -inaspettatamente!- ha avuto un grande successo di pubblico. Parliamo chiaramente del primo Take off, un'improbabile commedia che raccontava le gesta della prima squadra olimpionica coreana di salto con gli sci. Una squadra tirata su all'ultimo minuto e destinata a portare la bandiera coreana insieme a tutte le altre e poi lasciarsi sconfiggere miseramente. E invece no. No, non vi sto spoilerando il film, è che la storia, per quanto romanzata, è ispirata a fatti reali. Ma di questo ne abbiamo già parlato. 

Se il primo capitolo era ambientato nel 1997, questa volta saltiamo al 2002-2003, in occasione degli Asian Winter Games di Aomori (Giappone). Come nel precedente capitolo, i coreani stavolta si trovano costretti ad avere una squadra femminile di hockey su ghiaccio. Anche questa volta, la vicenda è ispirata a fatti realmente accaduti

Il copione si ripete, ma la storia si evolve bene ed è divertente. In più, come ci fa notare il nostro instancabile subber e blogger tuttofare, è stata proprio la squadra femminile di hockey che nel 2018 ha partecipato ai giochi olimpici invernali  per la prima volta sotto la bandiera della Corea unificata. Chissà che un giorno...


Un'altra traduzione del nostro Caprenne! Cliccate sul nome per visitare il suo blog.

TRAMA: Kang Dae-woong (Oh Dal-su) è il più scapestrato degli allenatori che la federazione sportiva sud coreana abbia mai avuto. Dopo un passato da sportivo professionista, conduce una vita dissoluta fatta di alcol ed espedienti per vivere alla giornata. Tuttavia se vogliono partecipare all'assegnazione dei giochi olimpici invernali, i dirigenti della federazione olimpica nazionale sono costretti ad ingaggiarlo perchè il tempo stringe e nessun altro allenatore professionista vorrebbe perderci la faccia. Il suo compito sarà creare dal nulla una squadra di hockey femminile. Non importa che vincano, non importa nemmeno che gareggino. Ma la squadra in questione, composta da Soo-Ae (Lee Ji-Won), Oh Yeon-Seo (Park Chae-Kyung), Ha Jae-Suk (Ko Young-Ja), Kim Seul-Gi (Jo Mi-Ran), Kim Ye-Won (Kim Ga-Yeon), Jin Ji-Hee (Shin So-Hyun) e Park So-Dam (Lee Ji-Hye), si fa coinvolgere troppo...



Disponibile in DVD: No.

Sottotitoli nel nostro fansub!

Buona visione

sabato 25 settembre 2021

The King and the Clown


Cari buffoni, 

il film che vi presentiamo oggi è un classico dell'ormai lontano 2005, per la regia di Lee Joon-ik, regista nuovo su queste pagine e non particolarmente prolifico, ma attratto dalle figure dei peggiori tiranni della storia della dinastia Joseon, come vedremo in futuro. 


La storia coreana è minuziosamente riportata nei "Annali della dinastia Joseon", una sorta di diari che il re compilava durante il suo regno e che gli storiografi di corte si occupavano di pubblicare e conservare alla fine del regno a beneficio dei re successivi. Di tutti questi re, Yeonsan-gun è considerato il peggior tiranno che abbia mai seduto a quel trono. Tuttavia, una trama complessa e a suo modo delicata, riesce a ribaltare la situazione e ci presenta l'uomo che si celava dietro gli abiti sfarzosi e i palazzi immensi. Lo fa proprio a partire da quelle ambientazioni, rese impeccabili nella ricostruzione accurata degli ambienti, dei vestiti e delle usanze del tempo. Una fotografia eccellente. Una recitazione immensa.


Ma andiamo per ordine. Nel 2000 un tale Kim Tae-woong scrive un bellissimo dramma teatrale sulla vita di due buffoni di corte. Un dramma su una storia d'amore tra due buffoni che con la loro arte riescono a cambiare la storia. A questo punto urge una precisazione. Il buon Caprenne, insatancabile blogger e traduttore, nel suo interessantissimo articolo sul suo blog ci fa notare quanto il titolo internazionale sia fuorviante. Questi "buffoni" sono infatti degli artisti che praticano molte discipline, dalle acrobazie, alle commedie, passando per i drammi ispirati alla realtà. La traduzione in inglese, oltre a fare riferimento a versioni video antiquate e difficili da reperire, aveva anche il difetto (in alcuni punti) di falsare volutamente i dialoghi tra i due protagonisti, in modo che non fosse troppo evidente il loro rapporto amoroso, probabilmente per non turbare le platee più bigotte. 


Tutto inizia da un atto di coraggio che porta i due protagonisti e la loro "compagnia teatrale" alla corte di un tiranno sanguinario, dove dovranno usare la loro arte per salvarsi la vita. Un'espediente narrativo interessante, che subito incolla alla sedia, ma anche una concezione romantica di quello che gli artisti fanno nel corso di tutta la loro carriera: mettere l'arte davanti alla loro stessa vita. Ma non è tutto. La storia si evolve in un crescendo di situazioni complicate che... vedrete.


Kim Woo-sung che conosciamo dai tempi di Marriage is a crazy thing, incanta con il suo personaggio granitico, forte, carismatico, ribelle. Troppo incline a mancare di rispetto all'autorità per riuscire a tenersi fuori dai guai. 


Lee Joon-gi, già su queste pagine per Fliyng boys, incarna un personaggio androgino, etereo, oggetto di desiderio, ma anche portatore di un grande coraggio e immenso amore. L'uomo dietro il personaggio, a dispetto della sua apparenza delicata, è un esperto di arti marziali fin dall'infanzia. Si fa notare negli stati uniti dove attualmente lavora alla sua carriera hollywoodiana spesso rifiutando le controfigure per le scene d'azione. 


Jung Jin-young è il re-tiranno che nasconde un uomo sensibile, ferito, incattivito dagli episodi della sua infanzia e dal clima marziale della corte che cerca di limitare i suoi eccessi. Lo dipinge con una recitazione eccessiva, che fa storcere il naso nelle sue prime apparizioni, ma poi si fa capire con le scene in cui lentamente vengono a galla le paure e le debolezze del personaggio. 


Menzione d'onore per il grande Yoo Hae-jin che interpreta Yuk-gab, rendendo epico un personaggio secondario. 


Un'altra magnifica traduzione del nostro Caprenne.


TRAMA: Jang-saeng (Kam Woo-sung) e Gong-gil (Lee Jong-gi) sono due artisti di strada. Buffoni, acrobati e attori di grande talento, ma sono anche innamorati. In fuga da una compagnia dove venivano sfruttati e ricercati per l'omicidio del loro precedente impresario, si rifugiano nella città reale di Hanyang (antico nome di Seoul) dove fanno successo mettendo in scena delle commedie in cui si prendono gioco del re Yeonsan (Jung Jin-young). Un senatore di passaggio assiste a uno spettacolo e decide di farli punire severamente. Gong-gil riesce a strappargli una promessa: se il re vedrà il loro spettacolo e si metterà a ridere, loro avranno salva la vita. Altrimenti moriranno...


Disponibile in DVD/Bluray/Streaming: no.

Sottotitoli disponibili nel nostro fansub.

Buona visione.

domenica 22 agosto 2021

The Weight

 


Cari becchini gobbi, 

il film di oggi è un gioiellino che viene dal lontano 2012, per la regia di Jeon Kyu-hwan, nella prima volta su queste pagine. Regista pluripremiato in Corea del Sud e India, non si dimostra particolarmente prolifico, ma la sua prosa è particolarmente delicata nell'affrontare spinosi problemi di vita, morte e auto accettazione. 

Compone una trama ben oltre l'orlo del grottesco, proponendoci due personaggi strepitosi, intrepretati da Cho Jae-hyun e Park Ji-a (AKA Zia) ormai più che noti per essere stati gli attori-feticcio di Kim Ki-duk durante il periodo più florido della sua carriera. L'uno è un uomo di mezza età afflitto da scoliosi e tubercolosi, l'altro è una ragazza transgender che per questo è derisa e odiata dalla sua stessa famiglia e dalla società. Entrambi sembrano passare il tempo ad offendere la vita che odiano, trascinandosi più o meno volontariamente in una spirale di autodistruzione. 

Una critica amara ad una società spietata, che non cerca redenzione o perdono. 

La pellicola ha vinto, tra le altre cose, il Leone Queer al sessantanovesimo festival del cinema di Venezia nell'anno della sua uscita, un premio per i film che rappresentano tematiche legate alla cultura omosessuale e queer. È la prima ed unica volta (fino ad oggi) in cui un regista sud coreano viene insignito di tale premio. 

Traduzione a cura di DeepWhite999.

TRAMA: Han Hae-woon, meglio noto come Mister Jung (Cho Jae-hyun) è un addetto alla camera mortuaria in una struttura ospedaliera. La sua vita terrena è fatta di dolore. Soffre  di dolori legati all'artrite e alla tubercolosi, ma soprattutto soffre di solitudine, sentimento che mitiga stringendo morbosi legami con i cadaveri di cui deve prendersi cura. Abbandonato alla nascita per via della sua schiena deforme, viene adottato da una donna che lo tiene rinchiuso in una soffitta e lo costringe a lavorare per la sua impresa di sartoria. Il figlio naturale della donna (molto più giovane) si chiama Dong Bae ed è molto legato al suo fratellastro. Quando diventa adulto scopre la sua transessualità e la madre lo disconosce, lasciandolo solo e disperato a vivere una vita molto simile a quella del suo fratellastro...

Disponibile in DVD/BluRay: NO

Sottotitoli disponibili nel nostro fansub

Buona visione.

lunedì 9 agosto 2021

Dissolve

Cari dissoluti, 

non lo abbiamo mai fatto, ma per la prima volta vi presentiamo un film brutto. Ma partiamo dall'inizio. L'undici dicembre 2020 alle 1:20 di notte, in un ospedale di Latvia, in Lettonia, si spegne all'età di 59 anni, dopo una breve lotta contro il covid19, il nostro amato Kim Ki-duk. 

Il 2020 è stato un anno strano anche per lui. Non risultano produzioni in corso, cosa che nei suoi 25 anni di carriera è avvenuta solo durante la sua crisi esistenziale tra Dream (2008) e Arirang (2011), che lo ha portato ad una svolta nella sua carriera. 

Questa volta, il nostro Kim si prende un anno sabbatico (come tutto il resto del mondo nel periodo senza precedenti in cui il genere umano ha cercato di contrastare una pandemia globale) e si mette in viaggio per esplorare l'Europa. 

I suoi ultimi lavori lo hanno portato a girare in Giappone e in Kazakistan e in Lettonia era in cerca di una casa da acquistare. Non è una cosa insolita per lui. La sua formazione è iniziata a Parigi, dove ha frequentato una scuola d'arte e si è mantenuto vendendo i suoi dipinti. Parla fluentemente il francese, l'italiano, il russo e forse il tedesco. 

Della sua vita privata si sa poco e niente. Quello che conosciamo è la sua arte, ma è un luogo oscuro, popolato di personaggi che non sono mai quello che sembrano. Agiscono in un mondo in cui ogni azione ed ogni reazione, ha un forte significato simbolico. 

L'uomo dietro la cinepresa sembra spaventato. Non è più il monaco diventato adulto che si ripresenta un po' tronfio dopo essersi sporcato le mani per il suo desiderio di vivere una vita "normale". Il mondo di Kim non è mai diventato un Universo, come spesso accade agli artisti che hanno una carriera così lunga. Ci sono situazioni e personaggi ricorrenti. Il monaco di Primavera Estate Autunno Inverno e ancora Primavera, si ripresenta in One on One e possiamo paragonarlo a quello che salva l'umanità in Human Space Time and Human, ma non sembrano mossi dagli stessi ideali. L'evoluzione dei suoi personaggi è contorta, si muove su sentieri impervi. Un altro tema ricorrente è lo scambio di persona. Dall'idea ancora acerba di Time, in cui i personaggi si alternano ricorrendo alla chirurgia estetica e cercandosi di continuo, alla cieca, fino a quella donna tradita e traditrice di Moebius, in cui la stessa attrice interpreta la moglie accecata dalla gelosia e l'amante lasciva che le strappa sia il marito che il figlio. Poi c'è ancora One on One, in cui Kim Young-min ha interpretato ben 8 personaggi che erano vittime e carnefici di un peccato originale. 

E poi c'è il sesso. Merce di scambio, simbolo della tentazione, simbolo della violenza più estrema, prevaricazione, umiliazione, ma anche mezzo per la redenzione, l'accettazione di sé. La prima volta che ho visto Dissolve, ho subito pensato alla famiglia disfunzionale di Birdcage inn e subito dopo alle ragazze confuse e arroganti di Samaritan Girl ed in entrambi i casi, il paragone era imbarazzante. Parliamo di due film belli, profondi, girati con uno sguardo sognante e una speranza per un futuro migliore, contro una fotografia brutta, deprimente, una recitazione al limite del cringe. 

E qui torniamo alla bruttezza. Se pensate che un regista che ha speso anni a fare (anche) il direttore della fotografia per sè stesso e per altri, improvvisamente si sia trasformato in un Duccio qualsiasi, siete ingenui o in malafede. Kim ha dimostrato di avere un grande controllo del media cinematografico nel corso della sua carriera. Da The bow, che era una cartolina a cui mancava solo l'approvazione del ministero del turismo sud coreano, a Dream che era un film nel senso canonico del termine e che l'ha portato a rivedere i suoi intenti. Gli ultimi lavori sono un'opera d'arte, non solo nell'intento, ma anche nella realizzazione. Si sente la fretta con cui è girato, la rabbia per un mondo a cui può capitare di non riconoscersi più. 

Le protagoniste hanno lo stesso nome dei personaggi che interpretano, come se la realtà si insinuasse nel film, ma quegli stessi personaggi hanno caratteristiche opposte. La Din oppressa e la Din spregiudicata, il Nurlan povero e il Nurlan ricco...


Insomma, oggi vi presentiamo un film che richiede uno sforzo non indifferente per essere apprezzato, ma è al 100% Kim Ki-duk, con i suoi pregi e i suoi difetti, con la sua evoluzione/involuzione che si stiracchia in attesa del prossimo delirio, ma soprattutto è l'ultima volta che vedremo un suo film e questo fa male. Perchè in fondo, Kim ci ha abituati alla violenza, gli stupri, le torture e l'evirazione, ma non ci ha preparati a questo addio troppo improvviso e inaspettato. 

Grazie di tutto, maestro.


Una traduzione di DeepWhite999.


TRAMA: Din (Dinara Zhumagalyeva) è sia una ragazza oppressa da una famiglia troppo protettiva che una ragazza spregiudicata che tradisce il suo fidanzato con Nurlan (Sanjar Madi), un uomo molto ricco che la copre di regali costosi. Approfittando della loro straordinaria somiglianza, le due ragazze si aiutano a vicenda a migliorare le proprie vite. Ma il prezzo da pagare sarà la perdita dell'identità...

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Buona visione.